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Koha, il ritorno della magia dall’oblio del tempo

 

 La qualità di un calendario preistorico per le comuni persone di questo secolo, è nel suo essere collocato in un’età indefinita. Viviamo ben piantati nel nostro millennio (il secondo dopo Cristo), coccolati e viziati -anche troppo futilmente- dalla tecnologia: tanto che difficilmente potremmo farne a meno.

L’importanza di un calendario in epoca preistorica era invece, cosa ben più importante e necessaria: non solo per la vita dell’individuo, ma per la sopravvivenza di intere comunità. Poter stabilire con ampio margine la fine di una stagione fredda, l’inizio di quella calda, permetteva di regolarsi per tempo e garantire il giusto momento per la semina, per esempio. In un periodo storico in cui le conoscenze non erano diffuse come avviene per noi oggi, ma era in mano a pochi sacerdoti che regolavano la vita di intere comunità, saper riconoscere equinozi e solstizi era una responsabilità di non poco conto. Sbagliare poteva comportare la perdita di interi raccolti e così rischiare la sopravvivenza del proprio villaggio. 

L’elemento che più si confaceva a calcolare perennemente -e senza saperlo, in eterno- il ciclo delle stagioni, era chiaramente la pietra. Quella stessa pietra che gli uomini nella preistoria scolpivano per farne dolmen e menhir, o anche calendari in pietra di una precisione e di una magia straordinari. La precisione era data dalla conoscenza non indifferente che gli antichi abitanti di Frascineto, nell’età del bronzo, avevano raggiunto; mentre la magia era ed è, indissolubilmente legata al momento fatidico che si raggiunge quando l’ultimo raggio di sole va a baciare la roccia, in un’immagine sacra e rituale per il suo ripetersi costantemente nel tempo, generazione dopo generazione, secolo dopo secolo.

Il ritrovamento  dei Calendari di Pietra di Purçilly (dopo quello di Pietra de la Mola nel parco regionale di Gallipoli Cognato in Basilicata) rappresentano non solo una scoperta sensazionale, ma un evento unico che ci restituisce come un dono, millenni dopo, quella magia sacra, quel connubio fra natura e universo che sicuramente prostrava gli abitanti del villaggio al volere sacro divino, mentre a noi contemporanei ci lascia ammaliati per un processo che si ripete nel tempo, in quello stesso luogo, equinozio dopo equinozio, solstizio dopo solstizio. L’attesa dell’ultimo raggio di sole mentre l’ombra si allunga lentamente fino quasi desiderare la roccia prestabilita (che ci indicherà in quale momento dell’anno ci troviamo), è per noi, schiavi della tecnologia computerizzata, un miscuglio non privo di fascino di magia e tecnologia primitiva, allo stesso tempo.

Il valore aggiunto della scoperta è nello stupore che ogni persona, ogni partecipante, rivive nel momento stesso che comprende il funzionamento del meccanismo ancestrale, come lo ha vissuto lo scopritore e a sua volta gli antichi uomini che lo realizzarono e, perennemente, lo consultarono fino al suo misterioso abbandono.

Aver tolto Koha (come lo scopritore ha nominato il calendario principale e più grande) dall’oblio, per restituirlo ai suoi abitanti prima di tutto e ai contemporanei, è un dono che in qualche maniera ci permette di comprendere per un attimo, per quell’ultimo raggio di luce, prima di svanire nel cielo della notte, la nostra piccolezza di fronte all’universo e ricordare il nostro passato qui e altrove.

Proprio per la sua capacità di rigenerarsi equinozio dopo equinozio, solstizio dopo solstizio, Koha non può e non deve tornare nell’oblio: la magia che esso crea deve potersi ripetere per chiunque nel futuro, a peritura memoria di quello che gli antichi abitanti di Frascineto, seppero realizzare.

Per evitare che Koha torni nell’oblio, serve solo ammirarlo nel pieno della sua funzione: il prossimo appuntamento è quindi, per il solstizio di giugno che segna così l’inizio dell’estate. Un momento unico e allo stesso tempo ripetuto, ma assolutamente magico da condividere tutti insieme, noi uomini schiavi della tecnologia, persi per un attimo nello spazio che ci divide dal sole e dal tempo dei nostri antenati.

Emiliano Montanaro